Newsletter Settembre 2019

Cari lettori, il mese di settembre è stato caratterizzato da una visita privata in Italia di Claudio, per la nascita di Gregorio, ma nel contempo non potevano mancare occasioni importanti per S.K.O., finalizzate alla raccolta fondi per la costruzione di due aule aggiuntive al Tabasamu Primary School. Riporto inoltre, come promesso, le testimonianze dei volontari di agosto: QUESTA NEWSLETTER è DEDICATA AI VOLONTARI DI AGOSTO!

Vi presento Gregorio nato il 07.09 (lo stesso giorno e mese di sua mamma Barbara)

 

A Barbara e Paolo rivolgo le più sentite congratulazioni, unitamente alla protezione di Marisa, che ci segue da lassù e chissà come sarebbe stata contenta, LEI che, a Kaembeni, non poteva stare senza prendere in braccio un neonato ....

Le testimonianze dei volontari/e di agosto: tutti per la prima volta!

 

Alice e Chiara sorelle, volontarie da Bellagio (Co), ci hanno scritto:

Descrivere questa esperienza al Tabasamu Centre è quasi impossibile, ma se potessimo racchiudere questi giorni in tre parole sarebbero sicuramente: sorrisi, condivisione e famiglia. I sorrisi dei bambini e delle maestre che ci hanno accolto in queste due settimane non li dimenticheremo mai.  Anche se a volte abbiamo avuto problemi di comunicazione, dovuti soprattutto alla lingua, i sorrisi non sono mai mancati e ci hanno fatto sentire parte di questo meraviglioso gruppo. Essere felici con tutti questi sorrisi intorno è stata una cosa semplice.

Una delle cose che più ci hanno colpito e che ci hanno insegnato i bambini è sicuramente la volontà di condividere ogni cosa con gli altri. Purtroppo viviamo in una società egoista, dove abbiamo tutto ma facciamo fatica a condividere, mentre loro, pur avendo poche cose, sono sempre felici di condividere con gli altri ciò che hanno e questo è sicuramente uno dei più grandi insegnamenti che porteremo sempre con noi.

Famiglia, perchè in due settimane ci siamo ritrovate ad essere parte integrante di questa grande famiglia senza mai sentirci estranee. Per questo la prima persona che vogliamo ringraziare è “papà” Claudio, che con la sua simpatia e la sua dolcezza non ci ha mai fatte sentire sole e ci ha fatto sentire sempre a casa lontane da casa.  Il ricordo di Marisa (che avremmo tanto voluto conoscere di persona) ci ha accompagnate ogni giorno nei racconti di Claudio e nella vita al Tabasamu Centre e abbiamo sentito l’amore e la passione che ha lasciato in questo progetto tanto bello quanto impegnativo. Grazie di cuore a Solidarietà Kenya Onlus, a Claudio, a Sidi, alle maestre e a tutte le persone che lavorano al Tabasamu Centre, ma soprattutto grazie ai bambini, perchè tutti insieme ci avete insegnato a vedere il mondo con occhi diversi e a trovare il bello in ogni piccola cosa che incontriamo. Porteremo sempre nel cuore questa indimenticabile esperienza e siamo sicure che ci rivedremo presto, perchè abbiamo avuto la fortuna di trovare una seconda famiglia bellissima che non vediamo l’ora di riabbracciare.

Alessandra, volontaria con la sua famiglia, da La Spezia ci ha scritto:

Quest’estate io e la mia famiglia abbiamo trascorso due settimane in Kenya.... non è stata una vacanza come tutte le altre, è stata un’esperienza veramente speciale!

Io e mio marito abbiamo due figli, Marco e Valentina, che hanno rispettivamente 20 e 17 anni, abbiamo la fortuna che ancora decidono di trascorrere con noi parte delle loro vacanze, per questo abbiamo voluto sperimentare con loro cosa vuol dire fare una vacanza solidale.

Trascorrere alcune giornate al Tabasamu Centre a Kaembeni è stata veramente un’esperienza emozionante, lì i  bambini ti aspettano e ti accolgono con entusiasmo e col sorriso sulle labbra, trasmettendoti una carica di gioia e di energia, per giocare, cantare, disegnare insieme, per farti sentire importante per loro, per farti capire che anche i gesti semplici e spontanei sono momenti preziosi nella vita di ognuno di noi.

È difficile descrivere a parole la sintonia e l’intesa che si è creata con questi bambini sin dal primo momento in cui siamo arrivati... dopo i primi attimi di imbarazzo in cui ci siamo guardati negli occhi....quegli occhi scuri e profondi che hanno i bambini kenioti... le loro labbra si sono schiuse in sorrisi bianchissimi... gioiosi e irresistibili, il loro canto di benvenuto ci ha introdotto in un’atmosfera tutta africana e senza indugio ci hanno preso per mano e ci hanno portato a giocare con loro.... come se ci conoscessimo da sempre....

Anche i miei figli, così diversi da loro, si sono fatti coinvolgere volentieri dal loro entusiasmo e dalla loro voglia di giocare e divertirsi.... giochi semplici, all’aria aperta, dove tutti venivano coinvolti, senza esclusioni, con armonia e fantasia.

Credo che i nostri figli avrebbero molto da imparare da questi bambini che, anche se hanno pochissime cose, sanno accontentarsi e godere di ciò che viene loro dato.

Consiglio ad ogni persona di fare una esperienza simile e di imparare a donare ciò che ognuno di noi può, sia sotto il profilo umano che sotto l’aspetto materiale, perché dopo questa esperienza si torna a casa veramente arricchiti dentro.

Silvia D’A. neo magistrato da Roma, ci ha scritto:

Ho conosciuto il Tabasamu Centre grazie al prezioso suggerimento di un collega, Nicola Russo, che durante le lezioni presso la Scuola Superiore della Magistratura ci ha parlato di un progetto grande e ambizioso che Claudio, un uomo dal cuore grande, insieme a sua moglie Marisa, con coraggio e dedizione hanno avviato in Kenya, nel villaggio di Kaembeni.

Ho deciso così di dedicare una parte della mia prima lunga estate da magistrato in tirocinio a quest’esperienza di volontariato. Ho fatto questa scelta un po’ per gioco, un po’ per sfida: volevo mettermi alla prova, confrontarmi con le mie capacità, con le mie paure, con il mio spirito di adattamento. Posso dire con fermezza di esserci riuscita, grazie anche a Carlo, Andrea, Paola, Rosa, Elvira e Concetta, i compagni di viaggio con cui ho condiviso questa meravigliosa avventura.

Quando ho deciso di partire non conoscevo nulla del Kenya e dei progetti di volontariato, di come si svolgessero, di quanto impegno richiedessero, di quanto lavoro, tenacia e coraggio imponessero. L’ho scoperto una volta arrivata a Malindi, guardandomi attorno e riconoscendo quella povertà dirompente che siamo abituati a guardare in tv, dai comodi salotti delle nostre case.

Il primo impatto è stato fortissimo. Il viaggio dall’aeroporto di Mombasa fino a Malindi mi ha messo davanti ad un mondo totalmente nuovo, sia paesaggisticamente che umanamente. La terra rossa che si infiammava coi raggi del sole faceva da sfondo ad una vegetazione verde e rigogliosa, nella quale si intravedevano piccoli villaggi fatti di case di terra e fango. Sulla strada sfrecciavano i “bajaj”, i mototaxi che trasportavano due o tre persone o addirittura montagne di oggetti in un equilibrio precario che sorprendentemente teneva. Sul ciglio della strada c’erano gruppi di persone che vendevano qualsiasi cosa si potesse acquistare e gruppi di bambini che, incuriositi, smettevano di giocare per rincorrere il taxi che mi trasportava, salutando a squarcia gola.

Ero impressionata da tanta diversità e da quella bellezza che sa di vita vera, vissuta.

Sono arrivata a Malindi di sabato, pertanto ho dedicato quel primo weekend a riprendermi dal lungo viaggio e trascorrere del tempo al mare, in una delle paradisiache spiagge keniote.

Il mio primo incontro con il Tabasamu centre l’ho fatto il lunedì successivo, quando, insieme a Claudio e agli altri volontari, siamo andati a visitare il centro e a passare del tempo con i bambini della summer school.

E’ lì che ho capito la grandezza di questo progetto, l’impegno immenso che c’è dietro, il coraggio e la tenacia che ci sono voluti per realizzarlo e che sono necessari per portarlo avanti. Solo due persone come Claudio e Marisa potevano mettere in atto qualcosa di così bello e immenso: Claudio è una persona eccezionale, è determinato, deciso e soprattutto è un vulcano di idee; sua moglie Marisa, mancata purtroppo qualche anno fa, l’ho conosciuta tramite i racconti di Claudio, la mostra fotografica all’interno del centro, i murales da lei disegnati, le scritte sugli scaffali, con una grafia precisa e delicata. Era una persona vera, animata da un altruismo innato e sincero.

L’approccio con i bambini mi spaventava un po’. Non è semplice riuscire a toccare le corde giuste con i bambini, specie se hanno un vissuto così profondamente diverso dal nostro, fatto di povertà, disagi, mancanze e spesso violenza. Eppure la semplicità del loro sorriso, quegli abbracci forti e accoglienti, quegli sguardi pieni di riconoscenza, di gratitudine sincera, hanno reso tutto naturale e sorprendentemente bello.

Abbiamo fatto tantissime attività con i bambini del centro: abbiamo organizzato una partita di calcetto e una partita di pallavolo; abbiamo creato dei “manila”, ossia dei cartelloni disegnati e colorati da appendere. I bambini adoravano talmente tanto colorare, che un giorno si sono divertiti a disegnare decine di fiori sulle mie braccia con i pennarelli.

Una giornata l’abbiamo invece dedicata a disegnare e colorare i frutti e i relativi nomi sulle pareti dell’aula donata dalla Scuola Superiore della Magistratura al Centro. E’ stata un’esperienza bellissima. I bambini erano entusiasti e questo ci ha permesso di entrare ancor più in sintonia.

Ciò che sicuramente porterò sempre nel cuore sono i loro canti di benvenuto e di arrivederci, nella loro lingua, accompagnati dalla loro danza, e quegli sguardi, curiosi e schivi, ma profondamente riconoscenti.

Sono tornata dall’Africa con un senso di pienezza umana ed emotiva mai provato prima e con la voglia di ripetere quest’esperienza al più presto, magari in un periodo in cui la scuola è a regime e per un tempo più lungo. Dieci giorni sono volati, ma sono stati sufficienti per farmi affezionare ad una terra tanto diversa, a quella gente così genuina, a Claudio, ai suoi collaboratori, al Tabasamu e ai bambini.

A Claudio dico di portare avanti questo progetto con orgoglio, di affrontare con la sua ostinazione le difficoltà, gli intoppi, gli ostacoli e di non perdere mai di vista l’unico obiettivo che lo ha animato insieme a sua moglie nella realizzazione del Tabasamu, cioè di lavorare per restituire ai bambini dei villaggi alla periferia di Malindi la bellezza e la semplicità di un sorriso. Del resto Tabasamu in swahili significa sorriso, e, come diceva Charlie Chaplin, “un giorno senza sorriso è un giorno perso”.

Rosa, medico da Palermo, ci ha scritto:

Per raccontarvi del mio viaggio in Kenya potrei iniziare parlandovi delle immense spiagge di sabbia fine bianca, della bellezza della Savana con i suoi mille colori, dell’eleganza e maestosità degli animali che la abitano, di come la notte il cielo diventa un tappeto di stelle grandi e luminose o dei tramonti da cartolina che ti tolgono il fiato. Ma ho deciso di soffermarmi e descrivere un’altra faccia del Kenya, che ho avuto la possibilità di vivere durante questo viaggio; forse meno conosciuta, ma altrettanto bella e soprattutto reale. È la storia del Tabasamu Centre di Kaembeni/Majengo; è la storia di Claudio e Marisa; è la storia di come rinunciare a tutto e dedicarsi totalmente agli altri è possibile; è la storia di come l’amore tra due persone possa generare amore in mille altre forme.

La programmazione del viaggio

Sono un medico e l’idea di svolgere un’attività di volontariato in Africa mi ha da sempre affascinata. Ad agosto 2019 mi si presenta finalmente questa opportunità: mia sorella, con un gruppo di colleghi magistrati, spinti anche dai racconti e testimonianze della precedente esperienze al Tabasamu Centre vissuta da un altro collega, decidono di partire come volontari. Mi chiede se voglio unirmi a loro. Non conosco nessuno, non ho ben chiari alcuni dettagli del viaggio, la cosa un po’ mi spaventa, ma dico subito di sì e in meno di una settimana abbiamo già organizzato tutto.

Spinta dalla curiosità di conoscere Claudio, il Tabasamu Centre e la sua storia ancor prima di partire, inizio ad informarmi e a leggere. Leggo di come Claudio e sua moglie Marisa, siano riusciti a creare dal nulla una vera e propria realtà che ormai da 10 anni opera in kenya, nella zona di Majengo e con non poche difficoltà. Leggo del coraggio di Claudio che, anche dopo la prematura scomparsa di Marisa, ha deciso di portare avanti da solo il loro progetto di solidarietà. Non lo conosco ancora, ma provo già una profonda stima e ammirazione nei suoi confronti.

Il giorno della partenza e l’arrivo in Kenya

Il 21 agosto finalmente si parte da Palermo. Il viaggio è lungo, fin troppo lungo. Tre Paesi, quattro aeroporti, tre aerei, attese infinite in aeroporto e un lungo viaggio in auto prima di raggiungere Malindi. Arriviamo al Royal Tulia Home, pensato inizialmente da Claudio e Marisa come alloggio per i volontari, oggi una grande casa nella quale vive Claudio. Ad accoglierci c’è proprio lui, con uno stretto abbraccio come se ci conoscessimo ormai da tempo. Ci fa accomodare e, sorseggiando un succo preparato per noi dai manghi raccolti all’interno del Royal Tulia, ci racconta la storia del Tabasamu Centre, di come sia nato il progetto, delle tante difficoltà che ha incontrato nella sua realizzazione e che tutt’ora deve affrontare, ma anche delle tante soddisfazioni che ogni giorno lo spingono ad andare avanti. In ogni frase del suo racconto nomina Marisa, sempre con gli occhi lucidi e pieni d’amore. Ci mostra la nostra stanza che condivideremo per i successivi 10 giorni con un geco e un ranocchio, ma lo spazio a disposizione è grande ed ognuno sta serenamente al proprio posto. La sera conosciamo finalmente gli altri compagni di viaggio, sono simpatici e l’idea di condividere l’esperienza con gente che non conosco non mi spaventa più.

I giorni da volontario al Tabasamu centre

Finalmente è arrivato il giorno che aspettavo. Finalmente al Tabasamu centre. Claudio ci informa che a causa di un’ordinanza l’apertura delle scuole è slittata a settembre, per cui ad attenderci non ci saranno 400 bambini come al solito. Arrivati al centro mi rendo subito conto di quanto sia grande la struttura, più di quanto mi aspettassi; c’è un cantiere con gli operai, Claudio ci spiega come ci sia un continuo ampliamento per far fronte ad ogni tipo di esigenza.

Scesi dall’auto i bimbi ci vengono incontro, timidi nel vedere i nostri volti nuovi, ma forse noi lo siamo più di loro. Si raggruppano e intonano il loro canto di benvenuto ai volontari, si presentano e noi facciamo lo stesso. Finite le presentazioni è tempo di giocare, avevo avuto a che fare con i bambini in diverse occasioni, mi sentivo sicura e pensavo che anche questa volta sarebbe stato facile; invece non avevo idea di che approccio adottare in questa circostanza, così nuova per me, ma ormai così comune per loro. Claudio capisce il nostro imbarazzo e ci spiega che l’approccio migliore è quello di lasciarsi andare, senza forse ragionare troppo e così è stato, tutto molto naturale, spontaneo, sono stati loro a prenderci per mano e coinvolgerci nei loro giochi, annullando qualsiasi forma di imbarazzo iniziale.

Sin dal primo giorno ci hanno riempiti di treccine e tatuaggi colorati lungo tutto il corpo. Le giornate trascorrevano in allegria tra giochi, canti, balli, disegni e colori. Comunicare con loro non è stato difficile. I più grandi studiano l’inglese a scuola ed i più piccoli si fanno capire, in un modo o nell’altro., esattamente come i nostri bimbi, spontanei e leggeri, solo un po’ meno fortunati. Siamo felici di consegnare a Claudio il borsone che avevamo portato dall’Italia per i bambini, pieno di vestiti e colori. Non è molto, ma pur sempre un aiuto.

I giorni da turisti in Kenya

Oltre ai giorni trascorsi al Tabasamu Centre come volontari, abbiamo anche avuto la possibilità, nel corso dei 10 giorni, di visitare alcuni dei posti più belli del Kenya. Grazie anche all’aiuto di Claudio, sempre disponibile a consigliarci ed aiutarci nell’organizzazione delle escursioni.

Le spiagge bianche di Watamu e Sardegna 2, il paesaggio unico dell’Hells Kitchen, ma l’esperienza più bella ed emozionante è stata senza dubbio quella del safari. Due giorni passati nella savana, dove tutto ciò che fino a poco tempo prima avevo visto in cartolina o nei documentari, adesso è proprio lì davanti ai miei occhi e non c’è foto che possa rendere la bellezza, i colori, l’unicità di questo posto; non ci sono parole che possano descrivere a chi non c’è stato il cielo stellato dell’Africa, ma è tutto lì, ancora vivo nei miei ricordi come fosse ieri.

La mia esperienza da medico volontario al Tabasamu centre

Durante alcuni giorni al Tabasamu Centre ho avuto la possibilità di collaborare, da medico, con il personale del presidio sanitario. L’ostetrico Thoya Basa, in particolare, mi ha da subito accolta a braccia aperte; disponibile ad illustrarmi i reparti del presidio, tra cui un reparto maternità con sala parto e degenza, il piccolo laboratorio di analisi ematochimiche e il centro fisioterapico che porta il nome di Marisa.

Qui con i pochi mezzi che si hanno a disposizione, si cerca di fare e si fa davvero tanto. Mi sono resa conto che qui non ci sono gerarchie, che non contano i titoli o gli anni trascorsi a studiare sui libri, ma è l’esperienza, la capacità di aiutare qualcuno con quel poco che si ha a disposizione, che ti rende davvero un medico. Thoya mi ha dato la possibilità di collaborare nelle visite ambulatoriali e nelle vaccinazioni. È stato interessante e costruttivo confrontarsi sui diversi approcci pratici e diagnostico-terapeutici e sono felice di aver contribuito ad un reciproco scambio formativo.

L’ultimo giorno al Tabasamu Centre

Il giorno che sembrava così lontano e che speravamo non arrivasse mai è purtroppo arrivato. Siamo tristi, i bimbi lo sono forse più di noi. Ci ripetono che le promesse dei volontari di ritornare, non sempre sono mantenute. Mi si stringe il cuore, sono certa che la mia promessa di ritornare sarà mantenuta, ma purtroppo non so quando. È l’ultimo giorno e non c’è spazio per la tristezza, ma solo per canti e giochi. Così anche l’ultima giornata al centro trascorre in allegria e spensieratezza.

Per il nostro arrivederci abbiamo preparato una sorpresa per i bimbi: pane e nutella, una merenda quasi normale per noi, ma nuova per loro. Mentre la prepariamo ci guardano incuriositi. In fila indiana, silenziosi e ordinati prendono la loro porzione. Sono un po’ titubanti all’inizio, ma al primo assaggio la adorano e sono pronti per il bis.

Dopo la merenda c’è ancora tempo per cantare, giocare e scattare qualche foto ricordo, poi è tempo si salutarsi. A breve farà buio e i bimbi devono rientrare a casa, lontana anche parecchi chilometri per alcuni di loro. Così in gruppo, come il primo giorno, cantano la loro canzone, questa volta è però di arrivederci. Abbracciandoli li accompagno al cancello, ridiamo, cantiamo e balliamo ancora la canzone che ha fatto un po’ da colonna sonora per tutto il nostro viaggio:” jambo, jambo bwana…”

Torniamo a casa anche noi. Mi godo l’ultimo viaggio tra le strade sterrate e asfaltate; tra le capanne di fango e gli alberi di Baobab; mi godo l’ultimo tramonto sul ponte per tornare a casa e chiudo gli occhi per qualche minuto, è la prima volta in 10 giorni, ma sono davvero stanca, era l’ultimo giorno e avevo dato tutta me stessa.

Rientriamo al Royal Tulia, si inizia a preparare la valigia, domani è il momento di tornare a casa anche per noi.

Il viaggio di ritorno e il rientro a Palermo

Prima della partenza, con un piccolo contributo, acquisto i libri di solidarietà Kenya. Ho tanta voglia di leggerli al mio rientro. Lascio anche tutte le medicine che avevo con me, lì non sono mai abbastanza.

Rispetto all’andata il viaggio è identico: tre Paesi, quattro aeroporti, tre aerei e attese infinite in aeroporto; eppure stavolta c’è qualcosa di diverso e non è il bagaglio in meno lasciato lì in Africa, sono io che sono diversa, che vivo il ritorno con uno spirito diverso rispetto all’andata. La voglia, la curiosità, l’incertezza dell’andata, lasciano adesso il posto alla tristezza, ai tanti ricordi, alla nostalgia dei giorni trascorsi in Kenya. Nella mia testa c’è un caos di emozioni, così chiudo gli occhi e riordino i ricordi rivivendo istante per istante tutto il mio viaggio prima di tornare alla realtà.

Arrivo a Palermo ed è subito aria di casa. Sole, caldo, forse più del Kenya. Il traffico mi riporta alla realtà, ma l’Africa ti resta dentro, così per colmare la nostalgia inizio a leggere uno dei libri di solidarietà Kenya. Alla seconda pagina ho già gli occhi lucidi, all’ultima piango. Forse proprio per la nostalgia, forse per la consapevolezza che ciò che ho fatto e dato è solo una goccia nell’oceano o forse perché l’interrogativo di Claudio alla fine del libro, lascia un vuoto e tanta tristezza anche a me.

Cosa possiamo fare per sostenere il Tabasamu centre

Per dare un contributo a 360 gradi l’ideale sarebbe partire come volontari, portando con sé una valigia piena di amore, allegria, voglia di fare, spirito di adattamento, ma anche vestiti, colori, quaderni, giochi, palloni e medicine. Sono queste le cose di cui hanno maggiormente bisogno al centro.

Qualsiasi tipo di donazione, fatta anche dall’Italia, può dare una grande mano a Claudio nel gestire il centro e nel poter realizzare tutti i progetti di miglioramento e sviluppo. Al Tabasamu Centre viene fornita assistenza scolastica, alimentare e sanitaria a circa 400 bambini e per rendere possibile tutto ciò c’è bisogno di aiuto da parte di tutti noi.

Ho visto personalmente quanto è stato fatto e quanto ci sia ancora da fare e tutti noi possiamo contribuire nel nostro piccolo a questa grande missione di solidarietà e umanità.

Ho visto quanta passione e quanto lavoro ci sia dietro questo progetto, per nulla facile da gestire, soprattutto quando si è da soli.

Cosa porto con me dopo questa esperienza

Porto con me la consapevolezza di aver dato solo un piccolo contributo al progetto, la sensazione di aver lasciato una missione incompiuta, ma allo stesso tempo la convinzione e la voglia di poter ancora fare tanto. Lì in Africa o anche solo qui dall’Italia.

Porto con me un’esperienza che senza dubbio mi ha arricchita e fatta crescere professionalmente e umanamente.

Porto con me l’allegria e i sorrisi dei bambini africani (Ora capisco perché si chiama Tabasamu Centre). Bimbi che non hanno nulla, per necessità cresciuti forse troppo in fretta, ma che non per questo rinunciano ad essere bambini. Bimbi che non hanno nulla ma che sono riusciti a darmi davvero tanto, forse più di quanto io sia riuscita a dare a loro.

Porto con me 6 compagni di viaggio: Concetta, Paola, Elvira, Silvia, Carlo e Andrea, ormai amici, con i quali ho condiviso tutto in quei dieci giorni.

Porto con me una promessa fatta ai bimbi e a me stessa, quella di ritornare e che spero riuscirò a mantenere presto.

Porto con me un proposito, quello di riuscire a donare al reparto maternità un monitor con monitoraggio dei parametri vitali, fondamentale per la sala parto.

Porto con me l’Africa nella sua totalità, nella sua bellezza, povertà e contraddizioni.

Porto infine l’ammirazione e la riconoscenza nei confronti di Claudio, per l’ospitalità (al Royal Tulia mi sono sentita a casa dal primo giorno), per la disponibilità nel far fronte ad ogni nostra richiesta ed esigenza e per la possibilità che mi ha dato di vivere questa esperienza unica.

Katia, volontaria da Meda (Mb) ci ha scritto:

Ciao, lascio a voi che leggete questi semplici pensieri senza voler nulla aggiungere a quanto non abbia già letto nelle testimonianze di altri volontari con i quali condivido ogni singola emozione. Vorrei semplicemente esserci.

Reduce da una precedente vacanza in Madagascar presso turismo solidale, allergica agli ambienti troppo “ovattati” dove tutto funziona perfettamente e dotati di ogni confort volevo si trascorrere una bella vacanza ma vedere da vicino la realtà del luogo. Forte dell’esperienza positiva e decisa a ripeterla cerco in rete una struttura simile ma in Kenya, essendo attratta dai safari.

Mi imbatto a caso nella testimonianza di una volontaria e dalle sue indicazioni visualizzo subito il Royal Tullia Home. Scrivo e subito mi risponde Claudio spiegandomi che la struttura è ormai chiusa al turismo ma destinata ad ospitare i volontari che operano al Tabasamu center da lui fondato. Con rammarico mi tiro indietro non avendo mai fatto del volontariato, io cercavo una vacanza diversa....ma con estremo tatto, gentilezza ed intelligenza Claudio mi invita a cercare le mie predisposizioni verso questa esperienza e individua in me possibilità che ancora io non vedevo. Era il 2018 e a causa di difficoltà famigliari non posso intraprendere lunghi viaggi; ma l’idea non mi abbandona così mi documento e partecipo a un paio di pizzate solidali nel 2019 per conoscere meglio il progetto. Ho modo di conoscere personalmente Claudio e dopo 10 minuti sono pronta a partire.

Ho solo una settimana da destinare a questa avventura ed arrivo a Malindi un po' dubbiosa ma al contempo decisa.

Appena arrivata nel paradisiaco Royal Tullia Home immerso in un parco di alberi secolari e da frutta dove il canto degli uccelli ti accompagna ogni ora del giorno ed alcune della notte rimango incantata.ogni dettaglio curatissimo, ogni parete affrescata in perfetta sintonia con l’ambiente naturale, ogni angolo ti accoglie e la natura ti travolge. Partiamo subito e ci addentriamo in strade sterrate dove la vita scorre tra bambini che tornano a piedi da scuola indossando la loro divisa colorata, donne che vendono frutta o qualsiasi altra cosa creata artigianalmente per fare qualche soldo.

Vengo accolta dai bambini come l’ospite d’onore, con un calorosissimo benvenuto fatto di canti e sorrisi (ancora oggi mi spiace non aver filmato l’avvenimento ma alla fine credo rimarrà nei miei ricordi per sempre.) l’emozione è forte, sono imbarazzata e ho quasi il magone, ma basta che un piccolo della baby school mi venga in braccio per sciogliere l’imbarazzo. Claudio mi presenta il centro da ottimo cicerone e mi spiega che era il giorno delle vaccinazione dei bambini. Con estremo ordine ed attenzione le mamme con i loro bellissimi bambini dagli occhi grandi e curiosi in braccio o infagottatii sulla loro schiena ascoltano tutte le indicazioni date. E’ venerdi, sabato e domenica la scuola è chiusa e ho modo di approfittare per fare la turista, quindi spiaggia di Malindi, Watamu dagli intensi colori e sfumature del mare raggiunte in moto taxi a 3 posti divertentissime. Riesco a riposarmi e a divertirmi pronta per il safari di 2 giorni e 1 notte in savana. Gli spazi immensi, i colori caldi della terra rossa, gli animali nei loro branchi che oserei definire vere famiglie, i Masai che spiegano il loro vivere nella loro terra selvaggia ma amica orgogliosi delle loro tradizioni, della loro libertà, cultura e saggezza. Sono giorni intensi passano rapidamente. I miei orari sonno/veglia completamente sconvolti visto che appena si fa luce l’Africa si risveglia, anzi la natura padrona non dorme mai. Ho la sensazione che tutto e tutti seguano i ritmi della natura obbedienti alla sua forza, ai profumi che emana alla sua luce. Ogni giorno mi pare sia un nuovo dono, un miracolo.

Nei giorni che rimangono “cerco” di fare la volontaria ma mi sento imbranatissima. Claudio mi mette a mio agio come per tutta la permanenza dandomi consigli e facendomi sentire come una persona di famiglia che è ospite nella sua enorme famiglia di 400 bambini.

I bambini dell’asilo vogliono giocare con me, mi sorridono, mi coinvolgono nei loro canti e danze, in un attimo ballo con loro rido, scherzo, interagiamo solo guardandoci negli occhi è un piacere averli tra le braccia o sulle ginocchia, sono instancabili mi fanno sentire importante quando sono loro ad essere semplicemente meravigliosi. Le ragazze più grandi di 13-14 anni incuriosite dal mollettone che ho in testa mi chiedono se voglio farmi le treccine, ma certo e in un paio di minuti sono un’altra. Mi arriva la loro vitalità, la loro gioia, la loro energia. Famigliarizzo con Sofia che mi presenta a tutti, mi sembra già una piccola donna, le chiedo se le piace la scuola e cosa farà nelle settimane successive visto che l’anno scolastico stava terminando. “Aiuto la mia famiglia lavorare la terra” mi risponde, ti piace le dico e lei “Siii.” con un immenso sorriso che la illumina. E’ una leader, trascina il gruppo e si prende cura dei più piccoli, come tutti lì fanno del resto, a qualsiasi età.

Nel frattempo ci raggiunge Fiorella, una volontaria che è di casa piena di risorse che mi coinvolge a distribuire il pranzo, (una ciotola di riso, con fagioli).

Come di consuetudine, prima i bambini della baby school, tutti si mettono da soli rigorosamente in fila, senza spingere, senza un lamento. Noto che non sento quasi mai nessuno piangere ne fare capricci, normali per la loro età, nessuno ruba un gioco all’altro, visto che nessuno ha giochi ma è bellissimo osservare come la fantasia intervenga e risponda: i piccoli disegnano sulla sabbia con un bastoncino di legno il sole, le nuvole... i più grandicelli e fortunati spingono, facendo ruotare, un vecchio pneumatico e come si divertono!. Tanti i giochi di squadra grazie ai campi da basket e football creati. Molti non hanno scarpe e credo che quel pasto per i più sia anche l’unico al giorno, ma questo non impedisce loro di essere sereni e vitali.

Il giorno dopo distribuiamo la merenda, solo qualche biscotto ed un poco di succo di frutta.. tutti mi dicono grazie in religioso ordine. Visito la piccola ma accogliente cappella cattolica all’interno della struttura e veniamo raggiunti da 2 ragazzi e 2 ragazze che improvvisano vivacemente e gioiosamente con i loro strumenti musicali dei canti a Maria ... questa volta riesco ad immortalare il momento e li filmo voglio portare a casa e mostrare a tutti la loro voglia di esserci, di partecipare, di giocare, di sorridere.

Mi rendo conto che la scuola non poteva portare nome migliore: Centro del sorriso. Ovunque mi volto vedo una realtà che risponde ad un concetto che noi occidentali stiamo dimenticando: CONDIVISIONE. Ognuno si pende cura dell’altro. I numerosi figli sono la ricchezza delle famiglie Africane.

Inevitabile il paragone con i nostri bambini che nascono con il superfluo attorno loro, non avvertono il bisogno di condividere perché spesso sono figli unici, crescono nella “ Look down generation” ovvero con la testa rivolta verso il basso presi dagli smartphone, tablet o chiusi nelle loro cuffie I-pod. Come dar loro torto, noi adulti viviamo a velocità incredibili cercando di destreggiarci tra mille impegni di lavoro, famiglia, tasse e problemi. A volte penso se tutto questo correre porti veramente a realizzare i nostri obiettivi o a non capire più quale sia la meta dato vogliamo sempre di più e ci giustifichiamo dicendoci che è la nostra società che ci porta a vivere in questo modo, come se noi non avessimo responsabilità.

Mi chiedo allora quale di questi due mondi sia più malato..

Il progresso è inarrestabile e riteniamoci fortunati a vivere in una parte del mondo dove scuole e assistenza sociale, ospedali siano a un buon livello o semplicemente perchè l’acqua esce generosamente dai nostri rubinetti non curandoci del valore essenziale e vitale che essa ha. La tecnologia indispensabile e utilissima, l’informatizzazione ci hanno però allontanato dal piacere della lentezza, dal fermarsi un attimo ad assaporare i piccoli gesti, i cambiamenti attorno a noi, i silenzi che dovrebbero rilassarci quasi ci fanno paura. Forse questi due mondi hanno molto da imparare l’uno dall’altro ed ammiro profondamente Claudio che è riuscito a coniugarli senza sminuire o snaturare l’identità di entrambi.

Tanti di noi almeno una volta nella vita hanno pensato di cambiare tutto radicalmente ma davvero pochi l’hanno fatto sul serio. Claudio e Marisa ce l’hanno fatta a fare quell’incredibile salto mentale che non è da tutti e mettere il proprio operato a disposizione di qualcosa di GRANDE.

Spesso ingenuamente o egoisticamente abbiamo l’illusione di essere padroni delle nostre vite e di costruire la nostra strada con il nostro lavoro e scelte ma per alcuni talvolta capita che qualcosa di non programmato, che potremmo chiamare fato, destino, sconvolga e cambi il percorso da noi stabilito. A me piace pensare ad una forza e saggezza superiore che agisca attraverso di noi.

Forse è il caso di Claudio che nonostante mille problemi quotidiani, organizzativi, di bilancio per riuscire a far quadrare i conti riesca sempre ad andare avanti guidato e sostenuto sicuramente dalla sua stella protettrice Marisa che non ho avuto l’onore di conoscere personalmente ma che ho sentito viva negli occhi della gente di Malindi, taxisti, venditori, negozianti, e ancora fortemente presente nei loro cuori oltre che al Tabasamu dove ogni cosa parla di lei. Sembra che sia lì a vegliare su di tutti, maestre, collaboratori, bambini, volontari compresi.

Amo citare questa pillola di saggezza che dice: I miracoli iniziano ad accadere quando cominciamo a dare ai nostri sogni la stessa energia che diamo alle nostre paure. In questo caso le parole non sono rimaste sulla carta ma si sono trasformate in realtà.

Credo che tutta la forza dell’universo ci venga in aiuto quando la motivazione è così forte.

Ringrazio Claudio per avermi accolta, per la sua gentilezza e pazienza, per le conversazioni a cena a volte profonde e a volte ironiche che ora mi mancano, per avermi consigliato il periodo giusto per visitare il Tabasamu center prima della fine della scuola, altrimenti mi sarei persa le emozioni della baby school, il ricordo più forte di questa esperienza.

Ritengo sia già un’enorme fortuna aver conosciuto una persona fuori dal comune.

Non credo di aver apportato un granchè al Tabasamu è il Tabasamu che ha dato molto di più a me. Ho semplicemente dato il mio tempo, mi sono solo limitata a giocare e stare in compagnia di piccole e grandi persone ognuna indispensabile ed unica. Ognuno mi ha trasmesso voglia di vivere, entusiasmo per andare avanti... sempre.

Torno a casa stravolta per l’intensissima settimana, ma carica, appagata, arricchita, messaggio con amici che sottolineano la positività che ho addosso, stranamente. In aereo mi rilasso sono stra - contenta, volo in tutti i sensi.

Rientro al lavoro in Brianza e cerco di condividere la mia esperienza con i colleghi più vicini ma la logica dell’incominciare a correre e la chiusura mentale di tanti, anche se non di tutti, mi rattrista. Certi viaggi non si raccontano, si fanno.

Auguro a chi sta pensando di intraprendere una vacanza simile la mia stessa esperienza, le perplessità, i dubbi e titubanze più che lecite si scioglieranno lungo la strada è sufficiente lasciare aperta l’anima e i bambini la riempiranno.

Finalmente è ancora vacanza nelle settimane di agosto riparto per la Costa Azzurra. Il mare è blu e pulito, il tempo sereno, i giardini curati la gente gentile e discreta.. Ma c’è qualcosa che mi manca.. il calore e i sorrisi della gente in Africa, la loro energia, il sentirmi dire pole pole e hakuna matata. la forza della natura che ti travolge. forse è vero quello che si dice ... è l’Africa che ti sceglie. Grazie Claudio, grazie Africa.

 

VI PRESENTO L’ULTIMO BIMBO NATO  A SETTEMBRE AL TABASAMU HEALTH CENTRE- REPARTO  MATERNITA’

Come sempre alle mamme doniamo alcuni vestitini per i piccoli (grazie a Paola B. che ce ne fornisce).

 

Lunedì 30 incontro alla Fondazione Rockefeller di Bellagio (Co) per l’inaugurazione della scultura per la pace.

 

Vi presento il trittico di un nostro bimbo della Scuola Materna, mentre prende la colazione di porridge: analizzate lo sguardo intenso e ditemi cosa esprime per Voi, scrivendo a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo.

 

LA NOSTRA RUBRICA DAL TABASAMU CENTRE:

QUESTIONE DI VISIONI ..... DELLA VITA, by CLAUDIO

 

La newsletter mensile non serve solo portarvi a conoscenza di come procede il Tabasamu Centre, il suo sviluppo, di come spendo i soldi raccolti, ... ma vuole costituire anche un momento di riflessione, con approccio culturale, ... per conoscere la filosofia di vita scelta nello svolgimento del lavoro solidale, che desidero condividere con Voi, grazie a tutti i lettori, Claudio

 

«Il rispetto nel nostro lavoro solidale è molto importante, perché “AIUTARE” non deve voler dire CAMBIARE, ne GIUDICARE».

 

«La saggezza sta nel sapere bene da che parte stare, che cosa è importante e cosa non lo è… E saggio è fare la scelta giusta». Così dice il filosofo e sociologo francese Frédéric Lenoir.

 

Si sta facendo sempre più strada tra imprenditori, businessmen e politici l’idea di un capitalismo diverso, che non sia teso soltanto alla massimizzazione del profitto ma anche a un altro tipo di risultato rispetto a quelli finanziari, quelli sociali e ambientali.  Un capitalismo «civile» o, per dirla con «The Economist», di «capitalismo collettivo». L’ambiente soffre, le disuguaglianze aumentano al posto di diminuire e nemmeno la crescita economica va bene. Sta nascendo una sorta di manifesto per un nuovo capitalismo: la volontà di cambiare il modo in cui si opera e di prestare attenzione e dare valore non soltanto agli azionisti, ma anche ai dipendenti, ai fornitori, ai clienti, alle comunità e ai luoghi in cui hanno le loro attività per garantire che tutti siano trattati in modo equo. Del bisogno di un nuovo capitalismo per primo a parlarne è stato il 5 luglio il ministro francese dell’Economia Bruno Le Maire: il capitalismo, nella versione attuale, è morto. Non ha alcun futuro. Un capitalismo che si preoccupa solo dei profitti a breve termine ha il destino segnato. È condannato a morire perché il Pianeta non riesce a sostenerlo, e perché è rifiutato da un numero crescente di nostri concittadini in Francia, negli altri Paesi europei, e negli Stati Uniti. I cittadini chiedono una nuova forma di capitalismo. E nel XXI secolo noi politici non siamo più in grado di farlo da soli, non possiamo più cambiare il mondo.

 

Un’allarmante analisi dei ricercatori del National Center for Climate Restoration australiano delinea uno scenario in cui entro il 2050 il riscaldamento globale supererà i tre gradi centigradi, innescando alterazioni fatali dell'ecosistema globale e colossali migrazioni da almeno un miliardo di persone. L’anno 2050 rappresenta l’inizio della fine. Buona parte degli ecosistemi terrestri collassano, dall’Artico all’Amazzonia alla Barriera corallina. Il 35% della superficie terrestre, dove vive il 55% della popolazione mondiale, viene investita per almeno 20 giorni l’anno da ondate di calore letali. Il 30% della superficie terrestre diventa arida: Mediterraneo, Asia occidentale, Medio Oriente, Australia interma e sud-ovest degli Stati Uniti diventano inabitabili. Una crisi idrica colossale investe circa due miliardi di persone, mentre l’agricoltura globale implode, con raccolti crollati del 20% e prezzi alle stelle, portando ad almeno un miliardo di “profughi climatici”. Guerre e carestie portano a una probabile fine della cività umana così come la intendiamo oggi. Un aumento di 2 gradi invece che di 1,5 farebbe lievitare dal 14 al 37% la quota di popolazione mondiale esposta a ondate di caldo, renderebbe l’area del Mediterraneo molto più soggetta a periodi di siccità, farebbe praticamente scomparire la barriera corallina e aumenterebbe di 10 volte la probabilità di estati senza ghiaccio nel Mar Artico. L’Ue da sola però non può risolvere tutti i problemi: è responsabile solo del 10% delle emissioni globali. In Cina e Usa - i due primi inquinatori - negli ultimi 3 anni le emissioni sono risalite: rispetto al 1990 in Cina sono più che quadruplicate, negli Stati Uniti sono invariate.

 

Lo studioso inglese Runcinam, considerato uno dei più noti scienziati politici europei, docente a Cambridge dice che la democrazia sarebbe imperfetta: «stanca, rancorosa, paranoica, illusa, lenta e spesso inefficace». Per di più vivrebbe unicamente sul suo (glorioso) passato. «Siamo entrati — spiega Runciman — in una fase fluida, ambigua. La cosa più importante è orientare le nostre antenne verso quelle trasformazioni che rischiano di diventare “sovversive” senza che ce ne accorgiamo. E sperimentare risposte nuove, senza illuderci che siano anche quelle “giuste”. Tornare indietro ai tempi della liberaldemocrazia statale e nazionale non è possibile. La situazione attuale è molto instabile, ma l’orizzonte è più ampio di quanto pensiamo. Prima o poi scopriremo come passare da “questo” a qualcosa di più adatto al nuovo contesto e soprattutto più adattabile in generale.

 

Esistono due anime del concetto di nuovo umanesimo: quella di ispirazione «cristiana» e quella «laica». Nella visione cristiana l’idea è fondata sulla centralità dell’uomo «immagine di Dio» e sulla conseguente dignità inalienabile della persona umana, libera e responsabile. L’umanità del cristiano è sempre in uscita. Non è narcisistica, autoreferenziale. Il compito che ne risulta è quello di vivere la solidarietà e la condivisione come indifferibile urgenza. Per i grandi santi la beatitudine ha a che fare con umiliazione e povertà. Ma anche nella parte più umile della nostra gente c’è molto di questa beatitudine: è quella di chi conosce la ricchezza della solidarietà, del condividere anche il poco che si possiede; la ricchezza del sacrificio quotidiano di un lavoro, a volte duro e mal pagato, ma svolto per amore verso le persone care; e anche quella delle proprie miserie, che tuttavia, vissute con fiducia nella provvidenza e nella misericordia di Dio Padre, alimentano una grandezza umile». Anche a partire da una visione «laica» l’idea di nuovo umanesimo evidenzia urgenze morali e politiche indifferibili: come mostra Ciliberto, «l’Umanesimo è tornato attuale perché si è riaperto, in maniera drammatica e in forme del tutto nuove, il problema della condizione umana». In un mondo «che si divide in forme sempre più feroci, nel quale le differenze di religione o di razza generano conflitti sanguinosi», l’umanesimo testimonia il valore della tolleranza, che non è solo passiva accettazione, ma positivo riconoscimento della dignità dell’altro. Parlare di nuovo umanesimo significa essere coscienti del cambiamento d’epoca in cui ci troviamo e della conseguente esigenza di cercare soluzioni ai problemi non di semplice difesa e conservazione, ma di largo respiro e di responsabile condivisione.

 

I cattolici si interrogano, non senza una crescente angoscia, su quale sia il loro ruolo in una società secolarizzata. In un mondo nel quale non c’è più trascendenza, né senso del sacro — che è il mistero della vita — e ricerca dell’invisibile, dell’aldilà. Dove i desideri contano più dei valori. E il cinismo ha soffocato la pietà. 

Mai come in questo momento, in cui la tecnologia insegue addirittura l’immortalità, la questione religiosa è stata così importante. Centrale. «La vita non è solo razionalità». L’io si sostituisce a Dio (Homo Deus di Yuval Noah Harari), ma è sempre più insicuro e fragile. Le reti sociali si indeboliscono. «I sintomi di una crescente fatica di vivere si registrano su vari fronti». L’io ipertecnologico soffre di solitudine. Ha meno amici, anche se connesso con tutto il mondo. Insegue la salvezza del corpo, non dell’anima. Ha una povertà spirituale che lo rende oggetto inerte e inconsapevole a disposizione di una tecnica che manipola la sua natura, ne spia ogni passo, ne determina quelli successivi.

In una globalizzazione disordinata, ci si dimentica che «la fede cristiana è stata l’architrave dell’ordinamento politico e sociale che ha retto finora l’Occidente». La soggettività occidentale è stata costruita nei secoli nel rapporto tra fede e ragione, tra Chiesa e Stato. «Tutta la predicazione evangelica è diretta alla persona, alla sua libertà di scelta». La soggettività occidentale nasce dall’alleanza tra Cristianesimo e ragione. Da San Francesco a Dante. Un’alleanza oggi in crisi. «Ma l’amore — che è il nocciolo del Cristianesimo — non contrasta la ragione, la allarga». Altre visioni del nesso tra individuo e società e tra immanenza e trascendenza si stanno impossessando (si pensi solo alla Cina) degli elementi chiave della globalizzazione. Si perde così progressivamente il senso dei valori su cui è stata costruita la democrazia, lo stesso capitalismo.

 

Il 12.09 si è celebrata la Giornata internazionale del lascito solidale. Sempre più persone fanno testamento a favore del non profit. Lasciare in eredità le ricchezze per scopi benefici non è più un tabù per gli italiani. Secondo un’indagine curata da Gfk Italia, sono circa 1,3 milioni le persone over 50 (rappresentano il 5% della popolazione complessiva) che hanno già fatto, o sono orientati a fare, un lascito solidale. A questi va aggiunto un altro 8% di persone che si sono dette disponibili a prendere in considerazione l’idea: in totale 3,3 milioni di individui. Chi non ha eredi è più facilmente portato a donare, ma anche chi li ha sceglie spesso di destinare una quota di eredità. La sensibilizzazione è anche l’obiettivo principale del Comitato Testamento Solidale, formato da un numero crescente di grandi realtà del Terzo settore. Secondo l’Istituto Italiano della Donazione, dal 2015 al 2017 sono aumentate del 9% le realtà che hanno ricevuto dai lasciti più di un milione di euro. «La società cambia e ci sono situazioni diverse rispetto al passato. Le famiglie si sono ridotte e chi se ne va lascia meno figli. Si sta prendendo sempre più in considerazione l’idea di lasciare qualcosa per gli altri perché è un gesto alla portata di tutti».

 

È stato intervistato il Professor Umberto Galimberti: Filosofo, Antropologo, Psicologo, Psicoanalista, Sociologo: I ragazzi non stanno bene, ma non capiscono nemmeno perché. Gli manca lo scopo. Per loro il futuro da promessa è divenuto minaccia. Bevono tanto, si drogano, vivono di notte anziché di giorno per non assaporare la propria insignificanza sociale. Nessuno li convoca. Non potendo fare nulla, erodono la ricchezza accumulata dai padri e dai nonni». I genitori non sono più autori delle loro azioni. Nell’età della tecnica sono diventati funzionari di apparato. Vengono misurati solo dal grado di efficienza e produttività. Il domani non è più prevedibile. La tecnica ha assoggettato il mondo. Scambia lo sviluppo per progresso. È regolata da una razionalità rigorosissima, raggiunge il massimo degli obiettivi con il minimo dei mezzi e mette l’uomo fuori dalla storia. Ma l’amore non è razionalità, e neppure il dolore, la fede, il sogno, l’ideazione lo sono». la politica non è più il luogo della decisione. Ha delegato le scelte all’economia, e l’economia alla tecnica. È finita l’idea di bene comune che c’era negli anni Cinquanta. Rimane solo quella della poltrona. Solo il Giappone procrea meno dell’Italia. «Colpa dell’edonismo sfrenato: i figli lo ostacolano. Siamo il popolo più debole della terra. Per mangiare, apriamo il frigo anziché sudare nei campi. Ci difendiamo dal resto del mondo con il colonialismo economico, che ha sostituito quello territoriale. L’impero romano cadde così, fra postriboli e spettacoli circensi. Non lavorava più nessuno. Dovette importare i barbari per fare le guerre e le opere idrauliche. Un tempo pensavo che le civiltà finissero per cause economiche. Ora invece sono certo che muoiono per decadenza dei costumi». I padri si lamentavano perché i figli non vogliono saperne di portare avanti le loro aziende. Per forza, quando compiono 18 anni gli regalano la Porsche! Si è mai chiesto perché, su 5 milioni d’immigrati, 500.000 siano imprenditori? Vedo negli africani una potenza biologica che noi abbiamo perso». «Il denaro è diventato l’unico generatore simbolico di valori. Non sappiamo più che cosa è bello, vero, giusto, santo. Pensiamo solo a che cosa è utile. La dimensione religiosa è essenziale nell’uomo. Perché negare che la fede offra conforto a tante persone?».

 

Il Kenya ha iniziato il 16.09 a vaccinare i bambini contro la malaria, diventando il terzo Paese del mondo ad applicare il primo programma pilota approvato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità per combattere una malattia che uccide ancora ogni anno decine di migliaia di persone nel mondo. Il vaccino - nome di laboratorio RTS-S - si rivolge alla forma più mortale e più comune di parassita della malaria in Africa, dove i bambini sotto i cinque anni rappresentano i due terzi di tutti i decessi globali dovuti alla malattia trasmessa dalle zanzare. Il Kenya si unisce così al Malawi e al Ghana, che all'inizio di quest'anno hanno iniziato i loro programmi pilota per il vaccino. L’annuncio è stato dato dal Ministro della Sanità del Kenya Sicily Kariuki, che ha specificato che Il vaccino sarà introdotto per fasi in diverse zone del Kenya occidentale vicino al Lago Vittoria, a cominciare da Homa Bay. Il dipartimento nazionale della salute prevede che saranno circa 120.000 i bambini kenioti  vaccinati nell'ambito del programma pilota, durante il quale il Governo distribuirà anche zanzariere trattate con insetticida. Alla fine di questo processo il vaccino sviluppato dalla Glaxo Smith Cline, che iniziò gli studi per arrivare a questo risultato quasi trent’anni fa, verrà messo regolarmente in commercio con il nome Mosquirix. Per adesso funzionerà esclusivamente per l’infanzia, immunizzando quindi il 27 per cento dei soggetti che ogni anni muoiono per l’infezione data dal plasmodium falciparum nel sangue. Nel solo Kenya, come ha ricordato il Ministro Kariuki, nel 2016 sono morti oltre 10 mila bambini sotto i  cinque anni e, nonostante la malaria stia calando sensibilmente, i decessi tra i cittadini locali specialmente in determinate zone come i laghi sono ancora drammaticamente attuali. "Questo vaccino rappresenta uno strumento aggiuntivo che aumenterà gli sforzi del Kenya per ridurre le infezioni da malaria e le morti tra i bambini", ha detto Kariuki.

 

L’eccentricità ma anche il genio di Musk ormai sono riconosciuti a livello mondiale, quello che invece quasi nessuno sa è che alcuni dei dati spaziali che SpaceX utilizza per studiare il cosmo vengono trasmessi dal Centro Spaziale Italiano Luigi Broglio di Ngomeni, a due passi da Malindi, meglio conosciuto come Base San Marco. Qui una quindicina di tecnici italiani lavorano insieme a 189 keniani (con varie mansioni) e raccolgono dati tramite mega antenne che decriptano i satelliti di passaggio su questa parte di emisfero, da una posizione privilegiata e quasi unica grazie alla vicinanza all’Equatore, come da felice intuizione del Prof. Broglio che nel 1964 pensò a Malindi come ideale collocazione per la prima base spaziale di lancio italiana, da cui venne posto in orbita il terzo satellite nella storia dell’uomo, dopo quello sovietico ed americano. Oltre ai milioni di dati trasmessi quotidianamente ai centri dell’Agenzia Spaziale Italiana e dell’European Space Agency, oltre che del Governo keniano, da qualche anno la “Base” ha deciso di porre a disposizione le proprie tecnologie e capacità anche di altri “attori dello spazio”. Cogliendo questa occasione, tra le altre, anche Elon Musk e la sua SpaceX si sono affidati all’affidabilità italo-keniana. “Bisogna precisare che i dati trasmessi dai satelliti in orbita per conto di SpaceX vengono da noi ricevuti e trasmessi alla società americana così come sono – spiega Francesco Dominici, Responsabile Missione del Centro Spaziale Luigi Broglio – il loro server oltre che protetto e secretato, ha una telecamera che controlla che non avvenga nessun tipo di manipolazione”. Resta il fatto che uno dei database delle ricerche orbitali di SpaceX e probabilmente anche i dati relativi al possibile viaggio della Red Dragon Starship di SpaceX su Marte, arrivano da Malindi, grazie a noi italiani. Chiaramente SpaceX non è la sola società importante ad affidarsi alla Base di Ngomeni per catturare informazioni nello spazio. Tant’è che il Centro si è dotato di una nuova grande antenna all’avanguardia (con una parabola di ben 13 metri di diametro) che è quasi pronta per essere operativa, aggiungendosi alle altre due pre-esistenti, le quali, ben manutenzionate, continueranno a fare il loro dovere ancora per qualche anno. (tratto da articolo su Malindikenya.net del 13-09-2019 di Freddie del Curatolo)

 

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